ABORTO RICORRENTE, TROMBOFILIA
E TIROIDITE DI HASHIMOTO

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
MICROBIOTA INTESTINALE NELLE TIROIDITI E MALATTIE AUTOIMMUNI
 
LA TIROIDITE DI RIEDEL (E PATOLOGIE IgG4 RELATED)
 
PUNTEGGI PREDITTIVI DI PATOLOGIA AUTOIMMUNE TIROIDEA
 
MARKERS DI RISPOSTA TISSUTALE ALLA TERAPIA SOSTITUTIVA CON L-TIROXINA
 
 
 
 
 
 
 
Articolo Dr. Piazza - L'opinione personale n.3 - febbraio 2020
 
Articolo Dr. Piazza - L'opinione personale n.2 - febbraio 2016
 
"Medicina Metropolitana" - Periodico di Informazione per la Salute ed il Benessere Anno I - Gennaio/Febbraio 2013
 
"Medicina Metropolitana" - Periodico di Informazione per la Salute ed il Benessere Anno V - Numero 1 - Marzo 2011
 
"Palermo Medicina Metropolitana" - Periodico di Informazione per la Salute ed il Benessere Anno 3 - Febbraio 2009 - Autorizzazione: Tribunale di Palermo in corso
 
"Palermo Medicina Metropolitana" - Periodico di Informazione per la Salute ed il Benessere - Anno 2 - n. 2 - Giugno 2008
 
"Palermo Medicina Metropolitana" - Periodico di Informazione per la Salute ed il Benessere - Anno 1 - n. 1 - Settembre 2007
 

 

 

Morbo di Basedow "Gozzo Tossico Diffuso".pdf

A MIA MADRE GIOVANNA
CHE RECENTEMENTE CI HA LASCIATI

 

Il ruolo della trombofilia e dell’autoimmunità tiroidea nell’infertilità inspiegata, nel fallimento dell’impianto ovocitario e nell’aborto spontaneo ricorrente è affascinante da studiare ma ancora controverso.

Sembra comunque assodato che la tiroidite autoimmune di Hashimoto non è , di per sé, causa di aborto.

Trombofilia
   
   
Gravidanza
Tant’è vero che seguo una coppia di ragazzi entrambi (papà e mamma) affetti da tiroidite autoimmune che hanno avuto una bellissima bambina e tantissime altre ragazze con autoimmunità tiroidea che hanno regolarmente portato a termine gravidanze plurime, anche gemellari, sotto stretto e frequente controllo endocrinologico.

Tuttavia l’associazione tra poliabortività ripetuta (due aborti consecutivi) e ricorrente (tre o più aborti consecutivi) e tiroidite autoimmune è significamente elevata (8-12%).

Inoltre nelle donne con TAI (tireopatia autoimmune) si è riscontrato un aumento da 3 a 5 volte del rischio di aborto.

Ed ancora, nelle gestanti eutiroidee con anticorpi antitireoperossidasi (abTPO) e antitireoglobulina (abTg) si è evidenziata un aumentata frequenza di aborti nel primo trimestre e, nelle donne con abortività ricorrente la prevalenza di anticorpi abTPO raggiunge il 36%.

Ciò non implica che l’autoimmunità tiroidea sia causa di aborto né che il titolo autoanticorpale (AbTPO e AbTg) correli con la probabilità di aborto.

Infatti il riscontro di autoimmunità in genere e tiroidea in particolare sono la spia di un disordine immunologico più generale che predispone a tutte le malattie autoimmuni.

Chi ha una malattia autoimmune, come la tiroidite di Hashimoto, è predisposto ad averne altre (artrite reumatoide, lupus, psoriasi, celiachia, vitiligine, alopecia, retto colite ulcerosa, sclerosi multipla, piastrinopenia autoimmune etc., ed anche l’abortività su base autoimmunitaria).

Quindi il riscontro di movimento autoanticorpale tiroideo è indicativo di disregolazione immunitaria generale e di predisposizione alle malattie autoimmuni compresa l’abortività autoimmune.

In base alle conoscenze attuali sappiamo, infatti, che la sopravvivenza del feto semi-allogenico è dovuta alla immunosoppressione materna.

Il trofoblasto riesce ad eludere l’attacco da parte del sistema immunitario materno con vari meccanismi locali, tra cui la particolare configurazione dell’espressione delle molecole HLA di superficie che, come risaputo, sono coinvolte nella presentazione antigenica al sistema immunitario materno.

In particolare il trofoblasto non esprime molecole MCH di classe Ia (HLA-A e HLA-B) con l’eccezione di molecole HLA-C, ma soprattutto esprime molecole non classiche quali le HLA-G e le HLA-E.

Il ruolo delle HLA-G è, ad oggi, parzialmente conosciuto ma, si presuppone, secondo l’ipotesi più accreditata, che l’HLA-G, riveste un ruolo preminente nella resistenza del trofoblasto non villoso alla lisi mediata dalle cellule NK (natural killer), presenti in gran numero a livello uterino, inibendone l’attività citolitica e la loro migrazione transplacentare. Anche le molecole HLA-E inibirebbero le cellule NK a livello dell’interfaccia materno fetale.

Secondo tale teoria, una risposta immunitaria materna eccessiva contro gli antigeni paterni, porterebbe alla genesi abnorme di cellule immunitarie e di citochine responsabili di abortività ripetuta.

Più precisamente, secondo studi recenti, esistono differenze significative dei livelli di cellule NK nel sangue periferico nelle donne con abortività ripetuta/ricorrente rispetto ai gruppi di controllo.

Cellule NK sono state rinvenute anche nell’endometrio e nella decidua di donne con abortività ripetuta, anche se non si conosce il loro ruolo nel meccanismo di placentazione.

Secondo queste ipotesi, le cellule NK della mucosa uterina contribuiscono alla risposta citochinica a livello dell’interfaccia materno fetale.

Tale risposta è sia di tipo T-helper-1 (Th1) con sintesi di IL-2, IFN (interferone), TNF-alfa, sia di tipo T-helper-2(Th2) con sintesi di IL-4, IL-6 e IL-10.

La gravidanza fisiologica sarebbe il risultato di una risposta citochinica di tipo prevalentemente Th-2, in cui il blocco degli anticorpi nasconderebbe gli antigeni del trofoblasto fetale dal riconoscimento immunologico da parte delle cellule citotossiche materne Th1 mediate.

Di contro, le donne con abortività ricorrente, avrebbero una risposta citochinica di tipo Th-1, sia durante il periodo dell’impianto che durante la gravidanza a dimostrazione del fatto che le alterazioni della tolleranza immunologica nei confronti dell’unità feto-placentare sarebbero alla base della poliabortività.

Da questa prima disamina si può dedurre quindi che la positività degli anticorpi diretti contro antigeni tiroidei sia un epifenomeno che riflette un’alterazione del sistema immunitario che comporterebbe il rigetto del feto.

Inoltre è possibile pure che, in donne con autoimmunità tiroidea e alterazione della fertilità, il concepimento avvenga in età più avanzata e che questo rappresenti un altro fattore prognostico negativo aggiuntivo.

Dal punto di vista della terapia, invece, in letteratura vi sono lavori che dimostrano che in donne con autoimmunità tiroidea, la terapia con levo-tiroxina, a dosi appropriate tali da mantenere il TSH in un range ottimale, può ridurre l’incidenza di aborto ricorrente. Inoltre, nelle donne con positività degli anticorpi anticardiolipina e/o alterazioni trombofiliche, il trattamento con eparine a basso peso molecolare + aspirina a basse dosi (80-100 mg) porta ad un decremento nell’incidenza di aborto, specie se associato anche all’uso di progestinico (progeffik cp 200 mg) come trattamento empirico, specie in caso di insufficienza luteinica.

Un altro interessante lavoro condotto in una Clinica Ginecologica Universitaria italiana ha dimostrato che il trattamento con dosi appropriate di levo tiroxina, anche in caso di eutiroidismo materno, porta ad un miglioramento dell’outcome riproduttivo con un aumento del “delivery rate” dall’11 all’86% e riduzione del “miscarriage (aborto) rate” dall’89 al 13,5% dopo trattamento con tiroxina.

Un altro piccolo studio di coorte ha invece riportato che il pretrattamento con prednisone in donne con tiroidite autoimmune di Hashimoto migliora la riuscita dell’impianto ovocitario mentre non apporta alcun beneficio sull’incidenza di abortività.

Trombofilia

La sindrome da anticorpi antifosfolipidi è un’altra condizione patologica trombofilica, caratterizzata da ipercoagulabilità, strettamente associata alla tiroidite autoimmune di Hashimoto che, se non diagnosticata in tempo può determinare abortività ripetuta/ricorrente, preeclampsia, iposviluppo del feto e morte intrauterina.

E’ caratterizzata da trombosi venose e o arteriose, aborti ricorrenti e anticorpi antifosfolipidici.

Gli anticorpi antifosfolipidici (anticardiolipina IgG e IgM, anti-beta2-glicoproteina I, lupus anticoagulant), interagendo con varie proteine della coagulazione, piastrine o con le cellule endoteliali possono contribuire alla patogenesi della malattia. L'incidenza non è nota, comunque la prevalenza degli anticorpi antifosfolipidi nella popolazione generale è bassa (1-4,5%) e aumenta con l'età.
I sintomi clinici principali associati all'APS sono la trombosi, l'aborto, la trombocitopenia, i sintomi neurologici, la livedo reticularis e l'anemia emolitica. Gli anticorpi antifosfolipidi sono presenti in circa 1/3 dei pazienti con lupus eritematoso sistemico (LES). Elevati titoli di anticorpi anticardiolipina, anticorpi LAC (lupus anticoagulant) e, soprattutto, anti-beta2 GPI sono importanti marcatori predittivi dei sintomi clinici della APS nei pazienti con SLE. Il trattamento della trombosi è basato su una terapia a lungo termine e intensiva con warfarina (rapporto internazionale normalizzato - INR - superiore o uguale a 3).
Per il trattamento dell'aborto ricorrente si raccomanda una terapia a basso dosaggio di aspirina (80 mg/giorno), più eparina sottocutanea, non frazionata o a basso peso molecolare. (Autore: Dott. M. Tektonidou - Maggio 2004). Le altre altrazioni trombofiliche, che possono associarsi alla poliabortività sono le mutazioni della MTHFR (metatetraidrofolato-reduttasi) C677T e A1298C, sia in etero che in omozigosi con conseguente iperomocisteinemia, trattabili con acido tetraidrofolico (prefolic), ma anche le mutazioni del fattore V di Leiden (G1691A) con resistenza alla proteina C attivata, l’ATIII (antitrombina III), del fattore II (protrombina II G20210A) e il deficit delle proteine C ed S della coagulazione e gli elevati valori di fattore VIII della coagulazione.

 

Caratteristiche della Sindrome da Antifosfolipidi
[da Harris EN, et al.; Br. J. Rheumatol. 1987; 26:324-7]

CLINICA

LABORATORIO

- Trombosi venose

- IgG aCL (livello medio-alto)

- Trombosi arteriose

- IgM aCL (livello medio-alto)

- Perdite fetali ricorrenti

- LAC positivo

- Trombocitopenia


 

Epidemiologia della sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi
[da Petri M; in The Antiphospholipid Syndrome, CRC Press 1996; 13-28]

FREQUENZA DELLA SINDROME DA ANTIFOSFOLIPIDI

Lupus Eritematoso Sistemico

35%

Trombosi venosa

24%

Ictus

6-29%

Malattia coronarica

3-80%

Aborto idiopatico

10-20%

Tutte queste condizioni genetiche, se misconosciute e non trattate portano alla trombosi placentare e all’aborto.

In conclusione, è doveroso che in caso di aborto ripetuto, già dal 2° aborto, venga intrapreso uno studio approfondito della gestante per escludere tutti i fattori di rischio e le cause secondarie conosciute di aborto. Bisogna eliminare i fattori di rischio come il fumo di sigaretta, perché la nicotina inibisce la sintesi del progesterone e il rilascio di PGE2, allontanarsi da ev. esposizioni ambientali nocive per la salute, eliminare il consumo di alcoolici e di cocaina per l’effetto avverso sulla fertilità, limitare l’uso di FANS e anti depressivi nel periodo preconcezionale. Escludere la presenza di infezioni di virus, batteri ed effettuare lo screening delle infezioni TORC (toxoplasmosi, rosolia, citomegalovirus, herpes), clamidie, micoplasmi etc, che possono, non curate, contribuire ad innescare contrazioni uterine espulsive e aborto.

Ancora, nello studio della poliabortibvità vanno escluse le cause cromosomiche materne e/o paterne con esame del cariotipo con ricerca di traslocazioni parentali e di errori nell’inattivazione dell’X, trisomie 16,18,21,22, triploidie e poliploidie, monosomia X, traslocazioni sbilanciate etc.

Non meno importante è la ricerca di anomalie anatomiche uterine: utero setto, bicorne ,unicorne, presenza di sinechie o peggio s.di Asherman. L’isteroscopia diagnostica associata alla laparoscopia rimangono gli accertamenti fondamentali per lo studio delle anomalie anatomiche della cavità uterina onde provvedere alla loro eliminazione .

Non ultime vanno ricercate altre endocrinopatie quali il già citato ipotiroidismo/tiroidite autoimmune di Hashimoto, anche nelle forme cosiddette “milde”, il diabete mellito, l’insufficienza luteinica con inadeguata secrezione di progesterone da parte del corpo luteo, l’iperprolattinemia e la PCOS (sindrome dell’ovaio policistico).

In caso di insufficiente/inadeguata secrezione progestinica vi è razionale nell’uso dell’ormone progesterone per via vaginale o orale o intramuscolare in particolare nel primo trimestre di gravidanza.

Qualcuno ha segnalato, quale possibile effetto avverso, la ipospadia nei neonati maschi.

E’ ancora dibattuta la dose e la durata del trattamento progestinico ma, una metanalisi evidenzia una significativa riduzione di aborti in donne con poliabortività, trattate con progesterone rispetto a quelle trattate con placebo e non trattate.

 

PANNELLO TROMBIFILIA (50 POLIMORFISMI)
(tratto da: www.laboratoriogenoma.eu)

Il test si basa sull’analisi di 50 polimorfismi genetici, localizzati su 38 geni, che sono associati ad un aumentato rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari, allo scopo di determinare dei profili di rischio individuali finalizzati al trattamento personalizzato ed alla prevenzione precoce di queste malattie.

Tabella 1: Elenco dei geni investigati e delle varianti genetiche studiate

Gene analizzato
Varianti genetiche studiate
Ruolo del gene nell’insorgenza
delle patologie cardiovascolari
APOA1
-75 G>A

ARTERIOSCLEROSI E
METABOLISMO DEI LIPIDI

Apo B
R3500Q
APOC3
C3175G
T3206G
APO E
Cys112Arg
Arg158Cys
CETP
G279A
G1533A
GJA4 (CX37)
Pro319Ser
HMGCR
-911 C-A
LPL
C1595G
MMP3
-1171 5A>6A
NOS3
-786 T>C
Glu298Asp
VNTR introne 4
PON1
Gln192Arg
SREBF2
Gly595Ala
FATTORE II
3’UTR G20210A

OMEOSTASI - TROMBOSI

FATTORE V
G1691A (Leiden)
Y1702C
His1299Arg,
FATTORE XIII
V34L
FGB
-455G-A
HPA
Leu33Pro
PAI-1
1 bp Del/Ins 4G/5G
ACE
I/D introne 16
IPERTENSIONE
AGT
M235T
ADRA2B
Ins>Del Codon 299
ADRB1
Gly389Arg
ADRB2
Gly16Arg
METABOLISMO E OBESITA'
Gln27Glu
ADRB3
Trp64Arg
NPY
Leu7Pro
CBS
C699T
METABOLISMO DELL’OMOCISTEINA
T1080C
MTHFR
C677T
A1298C
MTR
A2756G
MTRR
A66G
ACT
-51 G-T
RISPOSTA INFIAMMATORIA
IL-1B
-511 C-T
IL-6
G-634C
G-174C
IL-10
-1082 G-A
IFN-?
+874 T-A
TNFa
-308 G-A
VEGF
-2578 C-A
MnSOD
C(-28)T
ATTIVITA' ANTIOSSIDANTE
T175C
SOD3
C760G

 

ARTERIOSCLEROSI E METABOLISMO DEI LIPIDI

Una delle principali cause dell'insorgere delle malattie cardiovascolari è l'arteriosclerosi: gli strati interni delle pareti delle arterie diventano spessi e irregolari a causa di depositi di lipidi e colesterolo.
L'ispessimento porta ad una diminuzione del flusso sanguigno. Su questi vasi, ma anche in assenza di un ispessimento significativo, meccanismi biologici la cui causa prima non è nota possono provocare la formazione di un trombo che, ostacolando completamente il flusso sanguigno provoca un danno permanente all'organo irrorato da quel vaso: cuore o cervello.
L'arteriosclerosi è una patologia generalizzata che può coinvolgere le arterie in diverse aree dell'organismo: conduce all'infarto se è localizzata a livello cardiaco, all'ictus se localizzata a livello cerebrale.

Apolipoproteina A1 (APOA1): polimorfismo-75 G>A
L’apolipoproteina A1 (APOA1) costituisce il maggiore componente proteico delle lipoproteine ad alta densità (HDL, il cosiddetto colesterolo buono). Poiché APOA1 esercita un ruolo importante nel trasporto inverso del colesterolo, bassi livelli sierici di APOA1/HDL rappresentano un ben conosciuto fattore di rischio di patologie delle arterie coronariche (CAD).
Un frequente polimorfismo del gene APOA1 localizzatio nella regione promotore, -75G>A, modula l’espressione dell’apolipoproteina A1. Importanti interazioni tra questo polimorfismo, abitudini dietetiche e livelli di HDL sono ben conosciute.
I portatori della variante allelica del polimorfismo -75G>A, possono aumentare il loro livello sierico di HDL in risposta ad una maggiore assunzione con la dieta di acidi grassi insaturi. [Jeenah (1990) Mol Biol Med 7, 233]

Apolipoproteina B (Apo B): mutazione R3500Q
L'Apolipoproteina B (Apo B) è un costituente fondamentale delle proteine a bassa e molto bassa densità coinvolte nel metabolismo del colesterolo. La mutazione R3500Q nel gene che codifica per la Apo B porta a ipercolesterolemia e conseguente rischio di patologie cardiovascolari. [Soria (1989) Proc Natl Acad Sci U S A 86, 587]

Apolipoproteina C3 (APOC3): polimorfismi C3175G e T3206G
L'Apolipoproteina C3 (APOC3) esercita un ruolo importante nel metabolismo dei lipidi, inibendo il metabolismo del triacil-glicerolo ad opera dell'enzima lipoproteina-lipasi, con conseguente incremento del livello di trigliceridi (ipertrigliceridemia).
I polimorfismi C3175G e T3206G del gene APOC3 sono associati ad un rischio 4 volte superiore di ipertrigliceridemia e ad un elevato rischio di insorgenza di infarti, arteriosclerosi e patologie cardiovascolari [Newman (2004) Eur J Hum Genet 12, 584; Xu CF et al (1994) Clin Genet. 46:385-97]

Apolipoproteina E (APO E): genotipizzazione alleli E2, E3, E4
Il gene APOE, è situato sul cromosoma 19 e codifica per l’apolipoproteina E (APOE), una proteina plasmatica, coinvolta nel trasporto del colesterolo, che si lega alla proteina amiloide.
Sono presenti tre isoforme (conformazioni strutturali diverse della stessa proteina) di ApoE: Apoe2, Apoe3 e Apoe4 che sono i prodotti di 3 forme alleliche diverse (e2, e3, e4). Queste diverse isoforme sono determinate dal cambiamento dell’amminoacido in due diverse posizioni (varianti Cys112Arg e Arg158Cys).
Le apolipoproteine svolgono un ruolo fondamentale nel catabolismo delle lipoproteine ricche di trigliceridi e colesterolo. L’APOE viene sintetizzata principalmente nel fegato ed ha la funzione di trasportatore lipidico.
E’ noto da tempo che elevati livelli di colesterolo costituiscono uno dei maggiori fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. In particolare non solo il livello di colesterolo totale ma anche il livelli relativi di HDL, LDL e trigliceridi rivestono notevole importanza nella patogenesi delle malattie vascolari.
L’APOE è stato uno dei primi marcatori genetici ad essere studiati come fattore di rischio per l’infarto del miocardio. Studi effettuati su una ampia popolazione di pazienti con infarto del miocardio e relativo gruppo di controllo hanno confermato dati già presenti in letteratura dove l’allele e4 dell’APOE (APOE4 era stato considerato un fattore di rischio genetico per le malattie cardiovascolari.
I portatori dell’allele 4) presentano infatti livelli più elevati di colesterolo totale e LDL, e quindi hanno un rischio maggiore di patologie cardiovascolari.
Tale fattore di rischio è presente soprattutto nelle persone anziane e quindi l’APOE può essere considerato un fattore genetico di rischio per l’infarto in età avanzata. Recenti studi clinici hanno anche dimostrato che l’allele E4 è più frequente nelle persone affette da malattia di Alzheimer rispetto a quelle sane.
La presenza del genotipo APOE4, anche in eterozigosi, determinerebbe un aumento di circa 3 volte del rischio di sviluppare la malattia nelle forme ad esordio tardivo, familiari e sporadiche. [Weisgraber, 1981, J. Biol. Chem. 256: 9077-9083; Rall, 1982, Proc. Nat. Acad. Sci. 79: 4696-4700;Das, 1985, J. Biol. Chem. 260: 6240-6247; Paik, 1985, Proc. Nat. Acad. Sci. 82: 3445-3449.]

Cholesterol ester transfer protein (CETP): polimorfismi G279A e G1533A
Il CETP è coinvolto nel metabolismo dei lipidi, mediando lo scambio di lipidi tra lipoproteine mediante il trasferimento di esteri del colesterolo dalle HDL alle lipoproteine ricche di trigliceridi, con conseguente riduzione dei livelli di HDL. Il polimorfismo dell’introne 1 del gene CETP G279A aumenta le concentrazioni del CETP e riduce i livelli di HDL a favore di LDL e VLDL. Un altro polimorfismo, G1533A, localizzato nell’esone 15 del gene CETP, che determina la variazione aminoacidica Arg->Gln a livello del codone 451, è anch’esso associato ad una aumentata attività plasmatici della CETP.
Ridotti livelli di HDL sono associati ad un rischio aumentato di patologie cardiovascolari. [Freeman et al.(1990), Clin Sci.;79:575-581; Kakko et al. (1998) Atherosclerosis. 136(2):233-40]

GAP JUNCTION PROTEIN ALPHA 4 (CONNESSINA 37): variante Pro319Ser
La Connesina 37 (CX37) costituisce un importante fattore molecolare coinvolto nello sviluppo dei vasi arteriosclerotici.
La CX37 è espressa nelle cellule endoteliali ed è codificata dal gene GJA4. Una variante aminoacidica a livello del codone 319 (Pro319Ser) di tale gene costituisce un marker prognostico per lo sviluppo di placche arteriosclerotiche ed un marker di rischio genetico per l’arteriosclerosi. [Boerma (1999) J Intern Med. Aug;246(2):211-8].

Idrossi-metil-glutaril-coenzima A reduttasi (HMGCR): polimorfismo -911 C-A
L’idrossi-metil-glutaril-coenzima A reduttasi (HMGCR) è un gene che codifica per l’omonima proteina. Questa è un enzima fondamentale per la sintesi del colesterolo. Si è già ricordato precedentemente che elevati livelli di colesterolo sono un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari, poiché predispongono alla formazione delle lesioni aterosclerotiche.
È interessante notare che data la sua posizione strategica nella catena biosintetica che porta alla sintesi di colesterolo, l’HMGCR è anche il target farmacologico delle statine, una famiglia di farmaci che agisce abbassando i livelli di colesterolo. Questo effetto viene ottenuto inibendo l’azione enzimatica svolta dall’HMGCR. Sulla base di queste osservazioni è stato studiato un polimorfismo nella regione promotrice del gene HMGCR in posizione -911 che consiste nella sostituzione di una C (citosina) con una A (adenina). Questo polimorfismo è stato studiato in una ampia coorte di pazienti con infarto del miocardio e relativo gruppo di controllo.
Il polimorfismo è risultato essere associato ad un aumentato rischio di sviluppare l’infarto del miocardio. In particolare la presenza dell’A nel polimorfismo dell’HMGCR risultava associato all’infarto in età giovanile. [Licastro Neurobiol Aging. 2006]

Lipoproteina lipasi (LPL): polimorfismo C1595G
La lipoproteina lipasi (LPL) è un enzima coinvolto nel metabolismo dei trigliceridi nelle lipoproteine circolanti. Questo enzima è sintetizzato dalle cellule del tessuto adiposo e muscolare e dopo essere secreto è trasportato sull’endotelio dei capillari, dove interagisce con le lipoproteine ricche in trigliceridi.
L’LPL migliora l’assorbimento delle lipoproteine da parte del fegato e delle pareti dei vasi sanguigni.
Il polimorfismo C1595G sembra avere un ruolo benefico in quanto è stato associato con un rischio diminuito di insorgenza di patologie cardiovascolari, ridotta pressione arteriosa e bassi livelli di trigliceridi. [Kobayashi et al., 1992 Biochem Biophys Res Commun. 15;182:70-7]

Metalloproteinasi di matrice 3 (MMP3): polimorfismo promotore -1171 5A>6A
Le metalloproteinasi sono una famiglia di enzimi importanti nel processo di rimodellamento della matrice extracellulare e nell’irrigidimento età-dipendente delle arterie, e quindi coinvolte nell’eziologia aterosclerotica e in particolare nell’evoluzione delle placche.
Le placche aterosclerotiche sono costituite da due componenti principali: un tessuto ricco di lipidi e uno sclerotico ricco di collagene. Le placche sclerotiche sono da considerarsi meno a rischio in quanto sono le più stabili; al contrario la componente “molle” ateromatosa dà instabilità alla placca e la rende più friabile e quindi più a rischio d’eventi trombotici. In questi meccanismi è stato ampiamente dimostrato il ruolo delle Metalloproteinasi, in quanto enzimi deputati alla riorganizzazione delle placche stesse.
Recentemente, nella zona del promotore (in posizione -1171) del gene MMP3, un membro della famiglia delle MMP, è stato individuato un polimorfismo (5A>6A) che influenza l’attività enzimatica di MMP3. L’allele 5A determina una maggiore attività ed è stato associato con un rischio maggiore di infarto al miocardio, mentre l’allele 6A determina una ridotta attività dell’enzima e costituisce un marker di rischio per la stenosi arteriosa. Per questo polimorfimo, gli esperti suggeriscono che il genotipo ottimale sia una eterozigoti per gli alleli (5A/6A). [Ye (1996) J Biol Chem271(22):13055-60]

Ossido sintetasi endoteliale (eNOS): polimorfismi -786 T>C, Glu298Asp e VNTR introne 4
Nel sistema vascolare, l’ossido nitrico (NO) esercita un ruolo importante producendo vasodilatazione, regolando il flusso sanguigno e la pressione arteriosa, e conferendo tromboresistenza e proprietà protettive all’endotelio dei vasi sanguigni.
La vasodilatazione endotelio-dipendente è mediata dal rilascio di NO prodotto dall’ossido sintetasi endoteliale (eNOS). Una ridotta sintesi di NO o nella sua minore bio-disponibilità potrebbe essere la causa della ridotta vasodilatazione endotelio-dipendente che si osserva nei vasi sanguigni di soggetti fattori di rischio cardiovascolari, quali fumatori attivi e passivi, pazienti con ipertensione o ipercolesterolemia.
La mancanza di effetti NO-mediati può inoltre predisporre allo sviluppo di arteriosclerosi. Il polimorfismo -786 T>C della regione promotore del gene codificante ossido sintetasi endoteliale (NOS3) riduce la sintesi di NO endoteliale, suggerendo che i portatori di tale variazione nucleotidica sono predisposti all’insorgenza di patologie coronariche. Ma l’indicazione più importante è data dal fatto che questa riduzione è esacerbata dal fumo di sigaretta.
La variante missense Glu298Asp, presente a livello dell’esone 7 del gene NOS3, agirebbe in sinergia con il polimorfismo della regione promotore, aumentando ulteriormente il rischio di patologie coronariche.
Un raro polimorfismo VNTR localizzato a livello dell’introne 4 del gene NOS3 (Ins>Del Introne 4) rappresenta un fattore di rischio di infarto al miocardio (MI).
La frequenza di questa variante si è mostrata significativamente più elevata (di circa 7 volte) in pazienti con Mi senza conosciuti fattori di rischio secondari. Questa variante è stata inoltre associata con stenosi arteriosa, specialmente in associazione con il tradizionale fattore di rischio del fumo di sigaretta. [Yoshimura (1998) Hum Genet 103, 65; Nakayama (1999) Circulation 99, 2864; Wang (1996) Nat Med;2:41-45]

PARAOXONASI 1 (PON1): polimorfismo Gln192Arg
La Paraoxonasi è una glicoproteina calcio-dipendente, che circola nelle lipoproteine ad alta densità (HDL), in grado di prevenire la perossidazione delle lipoproteine a bassa densità (LDL) e di contrastare pertanto il processo ateromasico. Il gene PON1, codificante tale proteina, appartiene ad una famiglia multigenica insieme ad altri due geni PON-simili, denominati PON2 e PON3, tutti localizzati sul braccio lungo del cromosoma 7. Sono noti diversi polimorfismi del cluster dei geni PON: il polimorfismo Gln192Arg nel gene PON1; è stato associato a rischio cardiovascolare, in quanto favorenti il processo aterosclerotico. [Ranade (2005) Stroke. 36(11):2346-50]

STEROL REGULATORY ELEMENT BINDING TRANSCRIPTION FACTOR 2 (SREBF2): polimorfismo Gly595Ala
La famiglia delle SREBP ha un ruolo importante nella regolazione del metabolismo cellulare del colesterolo e degli acidi grassi. Un membro di questa famiglia, il SREBF2, esercita un ruolo chiave nell’omeostasi del colesterolo, attivando l’assorbimento di colesterolo plasmatici mediato dal recettore dell’LDL. Un polimorfismo SNP del gene SREBF2, Gly595Ala, che causa una variazione aminoacidica Gly>Ala a livello del codone 595, è associato ad ipercolesterolemia. [Durst (2006) Atherosclerosis. Dec;189(2):443-50]

 

TROMBOSI PANNELLO 13 MUTAZIONI

La trombofilia è comunemente definita come qualsiasi disordine, acquisito od ereditario, associato ad una aumentata tendenza a sviluppare fenomeni tromboembolici. Si ha un evento trombotico, venoso o arterioso, quando il sangue (anche in piccole quantità) si coagula all'interno di un vaso sanguigno, aderisce alla sua parete e lo ostruisce in maniera parziale o completa, impedendo il flusso del sangue.
Il coagulo prende il nome di trombo.
Quando i difetti genetici sono assenti, i fenomeni trombotici si instaurano nella popolazione anziana, spesso in presenza di forti fattori di rischio ambientali come interventi chirurgici, fratture ossee o cancro. Al contrario, la trombosi ereditaria è associata ad una più giovane età di esordio; ciò è principalmente dovuto alla presenza di uno o più difetti genetici dove interazioni gene-gene e gene-ambiente svolgono un ruolo significativo.
Nella maggior parte dei casi si tratta di difetti o alterazioni di uno o più fattori della coagulazione del sangue.
La coagulazione è un processo molto complesso che prevede l'intervento in successione di molti fattori (proteine) diversi. Si tratta di un evento a cascata, una specie di reazione a catena.
Alterazioni genetiche delle differenti componenti del sangue possono direttamente od indirettamente influenzare la bilancia emostatica ed innescare uno stato protrombotico. Esse possono essere semplicisticamente suddivise in “loss-of-function mutations” degli anticoagulanti naturali, “gain-of-function mutations” dei fattori procoagulanti e in anomalie causa di una generalizzata “decreased fibrinolytic function”.
I geni, oggi noti, di suscettibilità alla trombosi sono delle varianti geniche (mutazioni puntiformi ad un singolo nucleotide) che presentano una tale frequenza nella popolazione da essere considerate delle varianti polimorfiche.
Sono stati descritti numerosi polimorfismi genici associati a trombosi presenti in fattori procoagulanti comprendenti il fattore II (protrombina), fattore V, fattore VII, fattore IX a fattore XIII.
Inoltre, anche polimorfismi all’interno di geni del sistema fibrinolitico (PAI-1) o del ciclo dell’omocisteina (MTHFR, MTR, MTRR, CBS) risultano associati sia positivamente che negativamente a trombosi.

Principali Polimorfismi Associati a Trombosi
Polimorfismo Fenotipo Associazione con Trombosi
Sistema Anticoagulante della Proteina C
Fattore V Leiden: R506Q
Fattore V Cambridge: R306T
Fattore V Hong Kong: R306G
Fattore V HR2: H1299R
Trombomodulina A455V
Trombomodulina -33GA
APC resistance
APC resistance
APC resistance
APC resistance (ass. con FV R506Q)
Sconosciuto
Sconosciuto
Si
Possibile
Possibile
Si
Possibile
Possibile
Fattori Procoagulanti
Protrombina G20210A
Fibrinogeno Bcl-1 (ß-chain)
Fibrinogeno G448A (Bß)
Fibrinogeno T312A (a-chain)
Aumentati livelli di FII
Aumentati livelli di Fibrinogeno
Aumentati livelli di Fibrinogeno
Anormale FXIII cross-linking
Si
Incerta
Incerta
Possibile
Fattori correlati alla Fibrinolisi
PAI-1 4G/5G
Fattore XIII-A V34L
Aumentati livelli di PAI-1
Aum. attività/Anorm. FXIII crosslink
Possibile
Protezione
Metabolismo dell’Omocisteina
MTHFR: C677T, A1298C
MTR: A2756G
MTRR: A66G
CBS: T833C/844ins68
Modulatori dei livelli plasmatici di Omocisteina Dibattuta (associazione con bassi livelli di folato, B6, B12)

Lo studio delle varianti geniche di questi tre geni è indicata in:

  • Soggetti con precedenti episodi di tromboembolismo venoso o trombosi arteriosa;
  • Donne che intendono assumere contraccettivi orali;
  • Donne con precedenti episodi di trombosi in gravidanza;
  • Donne con poliabortività
  • Donne con precedente figlio con DTN (difetto tubo neurale);
  • Gestanti con IUGR, tromboflebite o trombosi placentare;
  • Soggetti diabetici.

Trombofilia e Abortività
I fenomeni di abortività in gravidanza sono purtroppo eventi non rari. Mentre le alterazioni ormonali, immunitarie, uterine, e cromosomiche rientrano ormai come possibili cause di aborti ripetuti, recenti studi si orientano verso una nuova direzione: la genetica dei fattori della coagulazione del sangue.
Le donne sofferenti di trombofilia ereditaria, eccessiva coagulazione causata da un'anomalia genetica, sono infatti la categoria più a rischio di aborto in utero a gravidanza avanzata.
Nella maggior parte dei casi la morte del feto è causata da alterazioni geniche di uno o più fattori della coagulazione del sangue che determinano l'instaurarsi di una trombosi placentare, caratterizzata da una ostruzione dei vasi sanguigni placentari.
Dal punto di vista della trasmissione genetica, la maggior parte dei difetti trombofilici si presenta in forma eterozigote e si trasmette con modalità autosomica dominante a penetranza incompleta.
Le persone affette hanno una possibilità su due di trasmettere la predisposizione alla malattia ai figli, indipendentemente dal sesso.
In gravidanza, una condizione genetica di eterozigosi o omozigosi per uno o più di questi geni è considerata predisponente all'aborto spontaneo.

FATTORE II (Protrombina): variante G20210A 3’UTR
La protrombina o fattore II della coagulazione svolge un ruolo fondamentale nella cascata coagulativa in quanto la sua attivazione in trombina porta alla trasformazione del fibrinogeno in fibrina e quindi alla formazione del coagulo.
E' stata descritta una variante genetica comune nella regione non trascritta al 3' del gene che è associata ad elevati livelli di protrombina funzionale nel plasma e conseguente aumentato rischio di trombosi, specie di tipo venosa. Trattasi di una sostituzione di una G (guanina) con una A (adenina) alla posizione 20210 (G20210A), una regione non trascritta del gene dalla parte del 3' che è sicuramente coinvolta nella regolazione genica post-trascrizionale, quale la stabilità dell'RNA messaggero o con una maggiore efficienza di trascrizione del messaggero stesso.
La frequenza genica della variante è bassa (1,0-1,5%) con una percentuale di eterozigoti del 2-3%.
L'omozigosi è rara.
Per gli eterozigoti c'è un rischio aumentato di 3 volte di sviluppare una trombosi venosa, di 5 volte per l'ictus ischemico, di 5 volte per infarto miocardico in donne giovani, di 1,5 volte per gli uomini, di 7 volte nei diabetici, di 10 volte per trombosi delle vene cerebrali e di 149 volte in donne che assumono contraccettivi orali. [Poort et al. (1996) Blood 88: 3698-3703]

FATTORE V: variante di Leiden (G1691A) e mutazioni Y1702C e His1299Arg
Il fattore V attivato è un cofattore essenziale per l'attivazione della protrombina (fattore II) a trombina.
Il suo effetto pro-coagulante è normalmente inibito dalla Proteina C attivata che taglia il fattore V attivato in tre parti. Un sito di taglio è localizzato nell'aminoacido arginina alla posizione 506.
Una mutazione del gene che codifica per il fattore V, a livello della tripletta nucleotidica che codifica per l'arginina in 506 (nucleotide 1691), con sostituzione di una G (guanina) con una A (adenina), comporta la sostituzione dell'arginina con un altro aminoacido, la glutammina che impedisce il taglio da parte della Proteina C attivata. Ne consegue una resistenza alla proteina C attivata (APC) nei test di laboratorio ed una maggiore attività pro-coagulante del fattore V attivato che predispone alla trombosi. Tale variante G1691A è definita variante di Leiden (località in cui fu scoperta), ed ha una frequenza genica dell’1,4-4,2% in Europa con una frequenza di portatori in eterozigosi in Italia pari al 2-3%, mentre l’omozigosità per tale mutazione ha un’incidenza di 1:5000.
I soggetti eterozigoti hanno un rischio 8 volte superiore di sviluppare una trombosi venosa, mentre gli omozigoti hanno un rischio pari ad 80 volte.
Tale evento trombotico è favorito in presenza di altre condizioni predisponenti quali la gravidanza, l'assunzione di contraccettivi orali (rischio aumentato di 30 volte negli eterozigoti e di alcune centinaia negli omozigoti), gli interventi chirurgici.
In gravidanza una condizione genetica di eterozigosi per il Fattore Leiden è considerata predisponente all'aborto spontaneo, alla eclampsia, ai difetti placentari , alla Sindrome HELLP (emolisi, elevazione enzimi epatici, piastrinopenia).
Tali manifestazioni sarebbero legate a trombosi delle arterie spirali uterine con conseguente inadeguata perfusione placentare.
I soggetti portatori di mutazione del Fattore V di Leiden dovrebbero pertanto sottoporsi a profilassi anticoagulativa in corso di gravidanza o in funzione di interventi chirurgici ed evitare l'assunzione di contraccettivi orali.
Cause genetiche alternative del fenotipo APC-resistance, risiedono nel background genetico del FV.
L’aplotipo HR2, comprende un polimorfismo (A4070G) nell’esone 13 del FV sostituendo una istidina (allele R1) con una arginina (allele R2) nella posizione 1299 del dominio B del FV (H1299R).
Diversi studi mirati alla valutazione di una sua associazione con il fenotipo APC-resistance e con fenomeni trombotici hanno riconosciuto HR2 come un fattore di rischio protrombotico confermabile da un significativo abbassamento dei valori di APC-ratio in vitro e da un aumentato rischio protrombotico in quei soggetti che ereditavano in trans l’aplotipo HR2 e la mutazione FV Leiden. Inoltre, soggetti con l’aplotipo HR2 hanno un aumento relativo della isoforma più trombogenica e glicosilata del FV (FV1).
Un'altra mutazione del gene del Fattore V, Y1702C, tipica della popolazione italiana, incrementa di 3-4 volte il rischio di trombosi. [Bertina et al. (1994) Nature 369: 64-67; Castoldi et al. (2000), Blood 96: 1443-1448; Lunghi 1996 Thromb Haemost.;75:45-48]

FATTORE XIII: Polimorfismo VAL34LEU (V34L)
Un polimorfismo all’interno del gene del fattore XIII, che è molto prossimo al sito di attivazione della trombina, è stato descritto come fattore di protezione contro la malattia cardiovascolare, trombosi venosa ed incidenti ischemici e nello stesso tempo come fattore di rischio per emorragia intracerebrale primaria.
La sostituzione di una valina con una leucina in posizione 34 (V34L) del gene favorisce significativamente il taglio di attivazione da parte della trombina risultando in un FXIII con più alta attività transglutaminasica e di cross-linking della fibrina.
Il paradosso che un FXIII a più alta attività sia protettivo contro la trombosi e favorisca l’emorragia è parzialmente spiegato da una precoce ed inutile attivazione del FXIII-L34 che ne anticiperebbe il sequestro dal circolo abbassandone i livelli. [Kohler (1998) Thromb Haemost 79,8]

Beta Fibrinogeno (FGB): polimorfismo -455G-A
I livelli di fibrinogeno sono influenzati da fattori genetici ed ambientali come l’infiammazione e la risposta alla fase acuta.
Alti valori di fibrinogeno sono associati prevalentemente a malattia cardiovascolare ma risultano un fattore di rischio anche per fenomeni di trombosi venosa. Diversi polimorfismi sono stati descritti influenzarne la concentrazione plasmatica, quello più studiato è il polimorfismo ”“455G/A nella regione 5’ del promotore, che è responsabile della variazione dei livelli di fibrinogeno del 5%. [van't Hooft (1999) Arterioscler Thromb Vasc Biol 19, 3063]

Human Platelet Alloantigens (HPA): polimorfismo Leu33Pro
La genotipizzazione dello Human Platelet Alloantigens (HPA) permette di distinguere le due forme alleliche Pl (A1) e Pl (A2) determinate dal polimorfismo Leu33Pro, consistente in una variazione nucleotidica da T(A1) a C (A2) in posizione 1565, esone 2 del gene ITGB3, con conseguente variazione aminoacidica Leu->Pro a livello del codone 33.
Differenti studi hanno associato la presenza di almeno un allele Pl (A2) a stati di ipercoagulazione, con conseguenti complicanze trombotiche venose. [Newman (1989) J Clin Invest 83, 1778]

Inibitore dell'attivatore del plasminogeno di tipo 1 (PAI-1): polimorfismo 1 bp Del/Ins 4G/5G
L'inibitore dell'attivatore del plasminogeno di tipo 1 (PAI-1) rappresenta il principale inibitore del processo di attivazione del plasminogeno nel sangue.
È noto che esso contribuisce alla formazione del trombo e, conseguentemente, all'insorgenza e allo sviluppo di patologie cardiovascolari sia acute che croniche. I livelli plasmatici di PAI-1 sono regolati geneticamente ma, soprattutto, sono correlati ad una serie di fattori di rischio per l'aterosclerosi quali, ipertrigliceridemia, diabete, ed insulino-resistenza.
A livello della regione promotore del gene PAI-1 è presente un polimorfismo del tipo insezione/delezione di una G (4G/5G) in posizione ”“675 dal sito di inizio del promoter.
L’allele 4G può legare solo enhancers di trascrizione, mentre il 5G interagisce con enhancers e suppressors; questo si traduce in un più basso livello di trascrizione in presenza dell’allele 5G. Numerosi studi hanno dimostrato che soggetti omozigoti 4G/4G hanno livelli plasmatici di PAI-1 più alti del 25% dei soggetti 5G/5G, con conseguente rischio di malattie coronariche, e nelle donne in gravidanza aumentato rischio di preeclampsia. [Dawson (1993) J Biol Chem 268 10739]

 

IPERTENSIONE

Alcuni geni del sistema renina-angiotensina, un regolatore fondamentale del bilancio idrosalino e della pressione arteriosa dell’organismo umano, sono ritenuti coinvolti in varia misura nello sviluppo dell’ipertensione arteriosa. Infatti, condizioni di eterozigoti o omozigosi per alcune varianti di questi geni contribuiscono a ridurre l’eliminazione del sodio a livello renale, e sono associate a un rischio maggiore di ipertensione arteriosa.
L’ipertensione è una patologia che colpisce circa il 30% della popolazione adulta ed è associata a un rischio molto elevato di ictus cerebrale e infarto del miocardio. L’ipertensione è definita una malattia multifattoriale su base poligenica, dipendente cioè dalla complessa interazione tra fattori ambientali e l’attività di diversi geni. Mentre sono stati identificati molti fattori nutrizionali e ambientali che contribuiscono allo sviluppo di ipertensione arteriosa, tra cui ricordiamo l’eccessivo consumo di sale e l’obesità”, gli studi molecolari contribuiscono ad identificare anche i soggetti a rischio genetico.

Angiotensin Converting Enzyme (ACE): polimorfismo I/D
A livello dell'introne 16 del gene ACE è presente un polimorfismo del tipo Inserzione/Delezione (I/D). Tale polimorfismo è dovuto alla presenza (allele I - Insertion) o assenza (allele D-Deletion) di una sequenza ripetuta Alu di 287 bp, e può produrre tre differenti genotipi:
II = Inserzione in omozigosi
ID = Eterozigosi per Inserzione/Delezione
DD = Delezione in omozigosi.
Differenti studi hanno associato il genotipo DD con un incremento del rischio di patologie cardiovascolari, a causa di un conseguente aumento dei liveli plasmatici di ACE (doppi rispetto ai soggetti con genotipo II). [Rigat (1990) J Clin Invest 86, 1343]

ANGIOTENSINOGENO (AGT): variante M235T
Il gene AGT controlla la produzione di angiotensinogeno, una proteina che svolge un ruolo determinante nel sistema renina-angiotensina (RAS), sistema questo che regola la pressione arteriosa e quindi la funzionalità cardiaca. In alcune persone il RAS è iperattivo, provocando quindi problemi al cuore e pressione arteriosa alta.
L'alterazione (mutazione) di una regione specifica del gene AGT è associata ad un elevato rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari e di alcune forme di ipertensione.
Il gene AGT, in una determinata regione, presenta due varianti (polimorfismo), denominate T ed M. Quando è presente la variante T, l'aminoacido metionina è sostituito dall'aminoacido treonina nella posizione 235 del polipeptide angiotensinogeno, da cui la designazione M235T.
Poiché ciascun individuo eredita una copia del gene da ciascun genitore, egli potrà presentare due copie della variante T (individuo T/T omozigote); una copia di ciascuna delle due varianti (individuo T/M eterozigote); oppure due copie della variante M (individuo M/M omozigote).
La forma T235 del gene (cioè la presenza dell'aminoacido treonina a posto dell'aminoacido metionina in posizione 235) è associata con un incremento del rischio di patologie a carico delle arterie cardiache e con alcune forme di ipertensione.
Il test molecolare assume un'importanza fondamentale nella diagnosi precoce delle CVD. Il polimorfismo T235, in particolare, si è rivelato un importante fattore di rischio per lo sviluppo di patologie cardiache e di alcune forme di ipertensione.
Diversi studi hanno, infatti, dimostrato che il rischio i pazienti che presentano una forma alterata del gene AGT (genotipo T/T) hanno un rischio circa 3 volte maggiore di sviluppare patologie cardiovascolari, quali coronopatie, infarti miocardici, arteriosclerosi e cardiomiopatie ipertrofiche, rispetto ai pazienti con gene normale.
Il test molecolare, inoltre, identifica i soggetti che presentano una forma di ipertensione sodio-sensibile (pazienti con genotipo T/T). Questi pazienti possono quindi trarre notevoli benefici dall’applicazione di una strategia terapeutica che riduce l’apporto di sodio nella dieta, raggiungendo una significativa diminuzione della pressione arteriosa senza la necessità di ricorrere ad una terapia farmacologica.
L'analisi del gene AGT può inoltre aiutare i medici ad individuare una adeguata terapia da adottare prevedendo la risposta dei pazienti ai trattamenti terapeutici con agenti antiipertensivi. Nei pazienti che presentano un genotipo T/T e T/M, a differenza di quelli con genotipo M/M, si osserva, infatti, un'evidente riduzione della pressione del sangue, sia sistolica che diastolica, in risposta all’uso di ACE -inibitori (Angiotensin Converting Enzyme). [Rigat (1990) J Clin Invest 86, 1343]

Recettore adrenergico alfa 2B: mutazione Ins>Del Codon 299
I recettori adrenergici alfa2 influenzano il metabolismo energetico attraverso l’inibizione della secrezione di insulina e la lipolisi. Il gene codificate per il recettore adrenergico Alfa2B (ADRA2B) presenta un polimorfismo Ins>Del Codon 299. La variante Del Codon 299 è molto comune nei caucasici (circa il 31%) ed è stata associate in vivo con una ridotta dilatazione delle arterie brachiali e con un ridotto flusso delle arterie coronariche. Inoltre si pensa che tale variante incida sul metabolismo basale e contribuisca all’obesità. [Heinonen (1999) J Clin Endocrinol Metab. 84(7):2429-33]

Recettore adrenergico Beta 1 (ADRB1): polimorfismo Gly389Arg
I recettori adrenergici beta 1 sono i principali recettori cardiaci per Nor-Epinefrina ed Epinefrina, che rappresentano il più importante meccanismo mediante il quale il flusso sanguigno è aumentato ad opera del sistema nervoso simpatico.
Il gene ADRB1, codificante per il recettore adrenergico B1. presenta un polimorfismo, Gly389Arg, consistente nella variazione aminoacidica Gly ”“ Arg a livello del codone 389.
La variante Arg389 è associate ad una migliore funzione recettoriale. Tale variante sembra predisporre ad infarto ed influenzare la risposta terapeutica al trattamento con Beta bloccanti. La variante Arg389 è inoltre associata ad ipertensione. [Mason 1999 J Biol Chem. Apr 30;274(18):12670-4; Iwai C, Am Heart J. 2003 Jul;146(1):106-9]

 

METABOLISMO E OBESITA’

L’obesità è una malattia complessa dovuta a fattori genetici, ambientali ed individuali con conseguente alterazione del bilancio energetico ed accumulo eccessivo di tessuto adiposo nell’organismo. Studi su famiglie hanno sempre sostenuto l’ipotesi di un’influenza genetica, responsabile delle cosiddette anomalie metaboliche che faciliterebbero l’insorgenza dell’obesità in presenza di alta disponibilità di alimenti e cronico sedentarismo. L’obesità rappresenta un importante fattore di rischio per l’insorgenza di malattie cardiovascolari.

Recettore adrenergico Beta 2 (ADRB2): polimorfismi Gly16Arg e Gln27Glu
L’allele Arg16 del gene ADRB2 determina un miglioramento della sensibilizzazione del recettore ed è stato associato ad ipertensione. La contemporanea presenza delle varianti Arg16-Gln27 dell’ ADRB2 comporta una ridotta vasodilatazione mediata dal recettore adrenergico Beta 2.
La variante Glu27 è associata ad un incremento dell’attività del recettore, con conseguente obesità e patologie metaboliche. [Large 1997 J Clin Invest.100(12):3005-13]

Recettore adrenergico Beta 3 (ADRB3): polimorfismo Trp64Arg
Sulla base del suo ruolo biologico nel metabolismo dei lipidi, si pensa che il recettore adrenergico Beta 3 sia uno dei geni che influenza l’accumulo del grasso nel corpo. Una mutazione missense a livello del codone 64 del gene ADRB3 è stata associata con un aumento del body mass index (BMI). [Kadowaki 1995 Biochem Biophys Res Commun. 215:555-60]

NEUROPEPTIDE Y: polimorfismo Leu7Pro
Il Neuropeptide Y (NPY) esercita un ruolo importante nella regolazione del bilanciamento energetico, mediando la stimolazione all’assunzione di cibo e l’accumulo energetico. Tra le molteplici azioni del NPY vengono anche ricompresse vasocostrizione, regolazione della pressione sanguigna, metabolismo del colesterolo e patogenesi dell’arteriosclerosi.
Un raro polimorfismo del gene codificante per NPY, Leu7Pro, è stato associato ad elevate quantità di colesterolo totale e LDL, specialmente nei pazienti con obesità. Tale polimorfismo, inoltre, è un marker per il rischio di ipertensione ed arteriosclerosi. [Karvonen 1998 Nat Med. Dec;4(12):1434-7]

 

METABOLISMO DELL’OMOCISTEINA

Negli ultimi anni si vanno accumulando sempre maggiori evidenze scientifiche su come livelli clinicamente aumentati di omocisteina rappresentino un nuovo fattore indipendente di rischio cardiovascolare che si può affiancare agli altri fattori di rischio tradizionali o che può potenziarne gli effetti deleteri sulla parete arteriosa.
L’omocisteina sembrerebbe indurre il danno vascolare interferendo con la produzione di acido nitrico da parte dell’endotelio, determinando iperplasia delle cellule muscolari lisce e aumentando la produzione di radicali liberi con conseguente danno ossidativo e perossidazione lipidica (così favorendo la formazione della placca aterosclerotica), nonché interferendo con la funzione piastrinica e incrementando la tendenza alla trombosi.
L’iperomocisteinemia riveste, inoltre, importanti implicazioni nella riproduzione umana connesse al momento concezionale (aborti ripetuti), allo stato gravidico (patologie vasculodipendenti quali preeclampsia, difetto di crescita fetale, distacco di placenta) e alla menopausa.

Cistationina Beta Sintetasi (CBS): polimorfismi C699T e T1080C
La CBS è un enzima necessario per convertire l’omocisteina in Cistatione. Tale enzima riduce i livelli di omocisteina. E’ stato dimostrato che due polimorfismi del gene CBS (C699T e T1080C) determinano un aumento dell’attività dell’enzima, riducendo la quantità di omocisteina nel sangue. Tali polimorfismi sono associati con un rischio ridotto di insorgenza di patologie coronariche.

MTHFR (Metilentetraidrofolatoreduttasi): polimorfismi C677T e A1298C
La metilentetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) è un enzima coinvolto nella trasformazione del 5-10 metilentetraidrofolato in 5 metiltetraidrofolato che serve come donatore di metili per la rimetilazione della omocisteina a metionina tramite l'intervento della vitamina B12.
Rare mutazioni (trasmesse con modalità autosomica recessiva) possono causare la deficienza grave di MTHFR con attività enzimatica inferiore al 20% e comparsa di omocisteinemia ed omocistinuria e bassi livelli plasmatici di acido folico. La sintomatologia clinica è grave con ritardo dello sviluppo psico-motorio e massivi fenomeni trombotici.
Accanto alla deficienza grave di MTHFR è stato identificato un polimorfismo genetico comune, dovuto alla sostituzione di una C (citosina) in T (timina) al nucleotide 677 (C677T), che causa una sostituzione di una alanina in valina nella proteina finale ed una riduzione dell'attività enzimatica della MTHFR pari al 50% ,fino al 30% in condizioni di esposizione al calore (variante termolabile). Tale variante comporta livelli elevati nel sangue di omocisteina specie dopo carico orale di metionina.
La frequenza genica in Europa della mutazione è del 3-3,7% che comporta una condizione di eterozigosi in circa il 42-46% della popolazione e di omozigosi pari al 12-13%.
Recentemente, una seconda mutazione del gene MTHFR (A1298C) è stata associata ad una ridotta attività enzimatica (circa il 60% singolarmente; circa il 40% se presente in associazione alla mutazione C677T).
Questa mutazione, in pazienti portatori della mutazione C677T, determina un'aumento dei livelli ematici di omocisteina.
Livelli aumentati di omocisteina nel sangue sono oggi considerati fattore di rischio per malattia vascolare, (trombosi arteriosa) forse attraverso un meccanismo mediato dai gruppi sulfidrilici sulla parete endoteliale dei vasi. Inoltre in condizioni di carenza alimentare di acido folico la variante termolabile della MTHFR porta a livelli molto bassi l'acido folico nel plasma ed è pertanto un fattore di rischio per i difetti del tubo neurale nelle donne in gravidanza. Condizioni di eterozigosi doppia, specie con la variante Leiden del fattore V comporta o della variante 20210 della protrombina, può aumentare il rischio relativo per il tromboembolismo venoso, già alto per la presenza dell'altra variante. [Frosst et al. (1995) Nature Genet. 10: 111-113; Van der Put et al. (1998) Am. J. Hum. Genet. 62: 1044-1051]

Metionina sintetasi gene (MTR): polimorfismo A2756G
Il gene MTR codifica per un enzima che è coinvolto nella conversione dell’omocisteina in metionina. Il polimorfismo A2756G aumenta l’attività di questo enzima, incidendo sui livelli ematici di folato ed omocisteina.
Ridotti livelli di omocisteina riducono il rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari. Inoltre, è stato dimostrato che la presenza del polimorfismo A2756G determina una diminuzione delle probabilità di difetti del tubo neurale durante la gravidanza ed un rischio diminuito di trombosi venosa. [Leclerc (1966) Hum. Molec. Genet. 5: 1867-1874]

Metionina sintetasi reduttasi (MS_MTRR): polimorfismo A66G
La Metionina sintetasi reduttasi è un enzima necessario per la formazione di un derivato della vitamina B12. Tale enzima è indispensabile per mantenere un adeguata quantità di vitamina B12 cellulare, metionina e folato, e per mantenere bassi i livelli di omocisteina.
Il polimorfismo A66G è associato con un aumento del rischio di malattie cardiovascolari, indipendenti dai livelli di omocisteina. E’ stato inoltre dimostrato che tale polimorfismo aumenti il rischio di difetti del tubo neurale, spina bifida e sindrome di Down durante la gravidanza. [Brown (2000) J Cardiovasc Risk 7, 197]

 

RISPOSTA INFIAMMATORIA

È noto da molti anni che la deposizione di grassi derivati dal colesterolo nella parete dei vasi induce un’attivazione di cellule normalmente presenti in questa zona dei vasi denominati macrofagi.
Il macrofago dopo ingestione di questo materiale viene attivato e induce un’anomala risposta infiammatoria nella parete del vaso che col tempo porta alla formazione della placca aterosclerotica e alle alterazioni vasali tipiche dell’aterosclerosi. Quindi componenti e fattori ad attività regolatoria sulla risposta infiammatoria giocano un ruolo importante nello sviluppo e nella manifestazione clinica delle complicanza dell’aterosclerosi, quali l’infarto del miocardio.
Lo studio di polimorfismi allelici di geni coinvolti nella risposta infiammatoria ha portato alla messa a punto di un profilo genetico complesso di rischio pro-infiammatorio associato all’infarto del miocardio.
Il test si basa sull’analisi di polimorfismi genetici che sono stati trovati associati ad un aumentato rischio di infarto acuto del miocardio.

Alfa-1-antichimotripsina (AACT): mutazione -51 G-T
Il gene dell’alfa-1-antichimotripsina (AACT) è situato sul cromosoma 14 e codifica per una proteina chiamata ACT, una molecola che ha attività inibitoria nei confronti di alcuni enzimi specifici ad attività proteasica ed è una proteina dell’infiammazione.
È una delle principali proteine della fase acuta dell’infiammazione e viene rilasciata dal fegato durante le prime fasi della risposta infiammatoria acuta.
In condizioni fisiologiche la sua concentrazione plasmatica è bassa, ma aumenta rapidamente e drasticamente in seguito a processi infiammatori. Viene rilasciata principalmente dalle cellule epatiche sotto stimolazione di altre proteine. Tuttavia anche altri tipi di cellule, quali i macrofagi, le cellule endoteliali e epiteliali sono in grado di sintetizzare questa proteina.
È ormai noto da tempo che l’infiammazione gioca un ruolo primario nella patogenesi delle malattie cardiovascolari e per questo motivo alcuni studi hanno valutato il ruolo di questa proteina nello sviluppo dell’aterosclerosi e malattie correlate.
È già stato dimostrato infatti che nei pazienti con infarto del miocardio la concentrazione plasmatica di alcune proteine della fase acuta fra cui, la proteina C reattiva e IL-6, aumenta rapidamente. E stato studiato un polimorfismo allelico presente nel promotore dell’ACT localizzato in posizione -51. Questo polimorfismo consiste nella sostituzione di una guanina (G) con una timida (T) dato che l’allele mutato T è associato ad una maggior sintesi della proteina stessa.
Da studi caso-controllo fatto su pazienti con infarto del miocardio e relativi controlli senza malattie cardiovascolari è emerso che l’allele T è un fattore di rischio per l’infarto del miocardio in età precoce.
La frequenza dell’allele T dell’ACT era più frequente nei pazienti colpiti dall’infarto prima dei 40 anni. [Morgan (2001) Hum Genet 109, 303]

Interleuchina-1B (IL-1B): polimorfismo -511 C-T
Il gene dell’interleuchina-1 (IL-1) è situato sul cromosoma 2 dove è presente un aggregato di geni che codifica sia per l’IL-1b, IL-1a che e per il recettore di queste due molecole.
L’IL-1 è una citochina pluripotente, cioè capace di svolgere e regolare molte funzioni immunitarie ed è sopratutto coinvolta nell’attivazione delle risposte infiammatorie.
L’IL-1b in particolare viene anche rilasciata nel torrente circolatorio esercitando ance azioni diffuse nell’organismo. Infatti, è uno dei fattori capace di indurre febbre, sonno, anoressia e ipotensione. Questa interleuchina è importante nella patogenesi dell’infarto del miocardio in quanto stimola macrofagi e cellule endoteliali a rilasciare il fattore tissutale (TF), potente induttore dei trombi. Il polimorfismo presente sul promotore dell’IL-1b in posizione -511 consiste nella sostituzione di una C (citosina) con una T (timina).
La presenza dell’allele T in concomitanza con determinati alleli di altri polimorfismi su altri geni aumenta il rischio di sviluppare la malattia, pertanto i soggetti portatori di tale genotipo, sopratutto quando presente insieme ad altri genotipi, hanno maggiori probabilità di avere l’infarto del miocardio rispetto ai non portatori. Invece, nei soggetti con polimorfismo IL-1 beta protettivo la coagulazione del sangue viene indotta in misura molto minore, riducendo in tal modo la probabilità di essere esposti al rischio di infarto o di ictus. [Mattila (2002) J Med Genet 39, 400]

Interleuchina-6 (IL-6): mutazioni G-634C e G-174C
Il gene dell’interleuchina-6 (IL-6) è situato sul cromosoma 7 e codifica per l’omonima proteina.
L’IL-6 è una citochina pleiotropica, in grado di svolgere molte funzioni; generalmente ha azione pro-infiammatoria, quindi induce le risposte infiammatorie.
L’IL-6 è coinvolta nella regolazione della risposta infiammatoria sia acuta che cronica e nella modulazione delle risposte immunitarie specifiche.
È ormai noto che l’infiammazione ha un ruolo principale nella patogenesi dell’aterosclerosi poiché le placche aterosclerotiche e le lesioni associate presentano un infiltrato di cellule immunitarie attivate e una aumentata sintesi di molecole infiammatorie. A questo proposito l’IL-6 è stata una delle prime citochine studiate nelle malattie cardiovascolari in quanto promuove la formazione degli ateromi, dislipidemia e ipertensione.
Vari studi che hanno seguito popolazioni nel tempo hanno proposto di usare il livello plasmatico di questa proteina come marcatore predittivo dell’infarto. Infatti è stato osservato che i livelli ematici della IL-6 aumentavano molto tempo prima della manifestazione clinica dell’infarto e correlavano con l’incidenza della malattia. Il gene dell’IL-6 contiene vari polimorfismi fra cui uno presente nel promotore in posizione -174 che consiste nella sostituzione di una G (guanina) con una C (citosina), ed un altro presente in posizione -634, anche questo caratterizzato dalla sostituzione di una G con una C. Da studi condotti su un gruppo di pazienti con infarto al miocardio e su un gruppo di soggetti sani senza patologie cardiovascolari è emerso che questi polimorfismi rappresentano un fattore di rischio per l’infarto. Ovvero i portatori dell’allele mutato C hanno una probabilità maggiore di essere colpiti da tale patologia rispetto ai non portatori. Inoltre la presenza di questi alleli correla anche con maggiori livelli plasmatici di IL-6. [Fishman (1998) J Clin Invest 102, 1369]

Interleuchina-10 (IL-10): mutazione G-1082A
L’interleuchina 10 (IL-10) è un gene situato sul cromosoma 1 e codifica per l’omonima proteina.
È una molecola antinfiammatoria ovvero inibisce il rilascio delle citochine pro-infiammatorie durante lo sviluppo delle risposte infiammatorie. Viene secreta dai linfociti T, monociti e macrofagi. Questa molecola regola le risposte infiammatorie ed ha attività immunosoppressiva. Dato che la presenza di una risposta infiammatoria mal controllata promuove le malattie cardiovascolari, l’IL-10, avendo una azione immunosoppressiva, assume un ruolo importante e protettivo nella patogenesi delle malattie cardiocircolatorie.
Molti studi hanno studiato il polimorfismo presente nella regione promotore del gene dell’IL-10 in posizione -1082. Tale polimorfismo consiste nella sostituzione di una G (guanina) con una A (adenina).
È utile ricordare che studi in vitro hanno suggerito che la presenza dell’allele A è associata ad una minor produzione della molecola di IL-10. È emerso che la presenza del genotipo AA aumenta il rischio di sviluppare infarto al miocardio, in altre parole i portatori di tale genotipo hanno un rischio maggiore di sviluppare patologie cardiovascolari rispetto ai non portatori. [Murakozy (2001) J Mol Med 79, 665]

Interferone gamma (IFN-?): mutazione +874 T-A
Il gene dell’interferone gamma (IFN-?) si trova sul cromosoma 12 e codifica per l’omonima proteina.
L’IFN-? è una citochina prodotta dai linfociti T e la sua principale funzione è quella di difendere il nostro organismo da virus e patogeni intracellulari inducendo la risposta immunitaria e potenziando l’azione dei macrofagi.
È stato ampiamente dimostrato da vari studi che l’IFN-? promuove l’aterosclerosi; infatti le placche aterosclerotiche vulnerabili, cioè quelle che evolveranno in lesioni vasali complicate, contengono numerosi linfociti T adiuvanti attivati che secernono anche IFN-g, oltre ad altre numerose citochine. Questa citochina attiva i macrofagi che secernono una sostanza che provoca la rottura del rivestimento fibroso delle placche. Recentemente è stato trovato un polimorfismo del gene in posizione +874 che consiste nella sostituzione di una T (timina) con una A (adenina).
La presenza dell’allele T è in forte linkage disequilibrium con un polimorfismo presente nel primo introne del gene (un microsatellite ripetuto). Quest’ultimo microsatellite influenza la produzione della molecola di IFN-?, ovvero in presenza dell’allele 12 CA si avevano maggiori livelli di molecola. Quindi anche l’allele T del polimorfismo in posizione +874 influenza la secrezione di questa citochina che a sua volta induce una anomala regolazione delle risposte infiammatorie all’interno delle placche aterosclerotiche. Studi si sono focalizzati sul polimorfismo in posizione +874 confermano l’ipotesi che questo gene è un marcatore per il rischio dell’infarto del miocardio. [Pravica (2000) Hum Immunol 61, 863]

Fattore di necrosi tumorale alfa (TNFa): polimorfismo -308 G-A
Il gene fattore di necrosi tumorale alfa (TNFa) è situato sul cromosoma 6 e codifica per l’omonima proteina.
Il TNFa è una citochina pro-infiammatoria pleiotropica cioè in grado di svolgere numerose funzione di regolazione sulle risposte immunitarie.
IL TNFa è anche un importante mediatore delle risposte infiammatorie sia acute che croniche.
La concentrazione del TNFa aumenta durante i danni vascolari prodotti dalla formazione di trombi. Questo fattore promuove le cellule endoteliali danneggiate stimolandole a produrre le molecole di adesione. Quindi favorendo l’adesione alle cellule endoteliali il TNFa si comporta come un fattore promuovente l’aterogenesi e il danno vascolare causa dell’infarto.
Il gene del TNFa ha vari siti polimorfici, tra cui un polimorfismo presente nella regione promotrice del gene in posizione -308. Questo polimorfismo consiste di una sostituzione di una G (guanina) con una A (adenina).
Studi in vitro hanno messo in evidenza che la presenza dell’allele A è associata ad una maggiore produzione della molecola stessa.
Altri studi di fisiopatologia clinica hanno indicato che questo polimorfismo risultava essere un marcatore per le malattie cardiovascolari.
Analizzando i dati ottenuti genotipizzando un gruppo di pazienti con infarto al miocardio e relativo gruppo di controllo, si può affermare che questo genotipo risulta essere un marcatore di rischio di infarto al miocardio. [Herrmann Eur J Clin Invest. 1998 Jan;28(1):59-66]

Vascular endothelial growth factor (VEGF): polimorfismo -2578 C-A
Il vascular endothelial growth factor (VEGF) è un gene situato sul cromosoma 6 e codifica per una proteina chiamata Fattore di Crescita Endoteliale, una molecola in grado di promuovere la formazione di nuovi vasi, il fenomeno viene anche definito neoangiogenesi.
In qualsiasi tipo di processo angiogenetico si ha l’attivazione delle cellule endoteliali, le cellule che formano la parete del vaso sanguigno, che, a seguito di una carenza o assenza di ossigeno iniziano a rilasciare diversi fattori in grado di mediare segnali cellulari vitali per l’organismo.
Il VEGF viene espresso in tessuti differenti quali il cervello, il fegato, il rene e la milza, ed è stato ritrovato anche nell’ovaio, nell’utero e nella fase proliferativa della riparazione dei tessuti che porta alla riparazione e alla cicatrizzazione di una ferita.
Il VEGF è fondamentale sia nella regolazione dell’angiogenesi fisiologica che di quella patologica, poiché viene prodotto anche dalle cellule neoplastiche di alcuni tipi di tumore, quando si trovano in stato di forte ipossia.
Il VEGF provoca l’aumento della permeabilità vascolare, il rilascio di proteasi, enzimi in grado di “tagliare” le proteine, importanti per l’invasione cellulare e il rimodellamento dei tessuti. È anche in grado di prevenire l’apoptosi, cioè il suicidio programmato, di diversi tipi cellulari. Quindi questo fattore viene a trovarsi coinvolto in molte patologie ed è un elemento importante nella patogenesi di numerose malattie. Per queste sue importanti proprietà, fra le quali si ricordano la prevenzione dell’apoptosi e l’induzione dell’angiogenesi, il VEGF assume un ruolo particolarmente importante nella patogenesi delle malattie cardiocircolatorie. Recentemente è stato trovato un polimorfismo presente nel promotore del VEGF in posizione -2578 che consiste nella sostituzione di una singola base da C ad A.
Da diversi studi effettuati su una ampia popolazione di pazienti affetti da infarto al miocardio e su relativi controlli, è emerso che il VEGF rappresenta un marcatore genetico per le malattie cardiovascolari. [Howell, 2005, J. Med. Genet. 42: 485-490]

 

ATTIVITÀ ANTIOSSIDANTE

L’attività antiossidante aiuta a combattere i danni causati dai radicali liberi, (RL) che rappresentano lo scarto delle reazioni del metabolismo umano.
I RL sono praticamente il prodotto della biotrasformazione metabolica che il nostro organismo pratica attraverso l'elaborazione degli alimenti che quotidianamente mangiamo. Tali molecole RL sono altamente reattive e possono indurre un invecchiamento precoce dei tessuti, dalla pelle agli organi interni, delle vene e arterie, malattie cardiovascolari come ictus e infarto cardiaco, fino a malattie altamente degenerative come alcuni tipi di tumore.
Alcuni polimorfismi presenti in geni specifici (SOD3, MnSOD) possono alterare la produzione e la funzione degli enzimi antiossidanti e di conseguenza possono indurre a lo sviluppo di patologie cardiovascolari.

Superossido dismutasi manganese dipendente (MnSOD): polimorfismi C(-28)T e T175C
La superossido dismutasi manganese dipendente (MnSOD), un enzima antiossidante mitocondriale che catalizza la conversione dei radicali superossido in idrogeno perossido.
L’MnSOD è codificata dal gene SOD2 localizzato al locus 6q25.
Il gene presenta due polimorfismi, C(-28)T e T175C: il polimorfismo C(-28)T influenza la distribuzione intracellulare dell’enzima, prevenendo l’ingresso di quest’ultimo all’interno dei mitocondri. Tale polimorfismo è stato associato ad un rischio maggiore di sviluppo di alcune patologie, in particolare quelle cardiovascolari. Tuttavia è l’assenza del polimorfismo, e non la sua presenza, a favorire lo sviluppo di tali patologie.
L’effetto favorevole della presenza di tale polimorfismo è dovuto al fatto che l’enzima rimane funzionale, ma distribuito all’interno della cellula invece che essere concentrato nei mitocondri.
Il rischio di insorgenza delle suddette patologie diminuisce con una maggiore introduzione con la dieta di cibi ricchi di antiossidanti.
Il polimorfismo T175C, invece, riduce la stabilità dell’enzima attivo di circa 3 volte.

Superossido Dismutasi (SOD3): polimorfismo C760G
Il SOD3 è il principale enzima antiossidante delle pareti dei vasi sanguigni. I livelli più elevati di SOD3 sono riscontrati nel cuore, nella placenta, nel pancreas e nei polmoni.
Moderati livelli di SOD3 sono anche riscontrabili nei reni, muscoli e fegato.
È stato dimostrato che il polimorfismo C760G determina il rilascio dell’enzima SOD3 dalle pareti dei vasi nel sangue ed è associate ad una riduzione dell’attività antiossidante tissutale.
Ciò può contribuire allo sviluppo di patologie coronariche. [Sandstrom, 1994, J. Biol. Chem. 269: 19163-19166]

 

DESCRIZIONE TECNICA DELL'ANALISI

Il test molecolare di viene condotto effettuando l'analisi di mutazione di 38 geni (48 polimorfismi) descritti in tabella 1.
Per la genotipizzazione dei citati polimorfismi si opera inizialmente una reazione enzimatica di amplificazione del DNA, conosciuta come Polymerase Chain Reaction (PCR), che consente di amplificare in vitro una specifica regione della molecola, copiandola in varie fasi successive, fino ad ottenerne milioni di copie.
Successivamente i prodotti di PCR così ottenuti vengono sottoposti ad analisi di sequenza automatizzata mediante l'impiego di un sequenziatore automatico a tecnologia fluorescente (ABI PRISM 3100 Genetic Analyzer).
L'analisi di mutazione viene effettuata mediante analisi comparativa tra le sequenza ottenute per il campione in esame e le sequenze normali dei geni investigati, depositate nel database internazionale GeneBank.

 

 

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